Incontro con Paolo Cevoli

Incontro in Aula Magna con Paolo Cevoli il 22/02/2023

Paolo Cevoli, comico reso famoso dalla trasmissione TV Zelig ha fatto il liceo Volta, viene da Riccione, quest’anno compie 65 anni, è sposato da 36 con una stilista di moda di abiti da sposa, ha due figli, uno di 35 e uno di 33. Fa il comico da 20 anni, da quando ne aveva 44. Ha frequentato Giurisprudenza, principalmente perché non aveva la più pallida idea di cosa fare. Dopo legge, il suo sogno era di fare il giornalista, gli piaceva molto scrivere,  ma finisce a lavorare in un fast food come amministratore delegato, in collaborazione con il Grand Hotel di Rimini (era all’epoca il famoso Italy and Italy). Gli è sempre piaciuta l’idea di essere un comico, gli piaceva far ridere,  ma non avrebbe mai pensato di diventarlo davvero. In seguito apre un locale a Bologna dove andavano i comici, come Claudio Bisio, che gli ha detto di andare in televisione; fa il suo debutto  a Zelig, dove resta per dieci anni, poi  gli consigliano di fare teatro  e fa teatro per 20 anni.  A un certo punto, causa Covid, si trova senza lavoro, così, in quarantena, inizia a fare dei video, un po’ come un passatempo, finché non  lo contattano due video maker a cui lui mandava i suoi video e loro li montavano.  Quindi il suo percorso professionale è stato più un frutto di casualità, però lui non si è mai fermato, al contrario, ha sfruttato la quarantena per mettersi in gioco.                                Cevoli va spesso nelle comunità,  per esempio a San Patrignano, e ha scoperto che alla fine sono più i ragazzi ad aiutare lui, che gli hanno fatto capire che il problema non sono le sostanze ma il motivo per cui vengono assunte e cioè il voler colmare un vuoto, quindi anche se li aiutano a smettere di drogarsi il motivo per cui volevano scappare dalla realtà c’è ancora. Dopo la presentazione che Cevoli ha fatto in breve del suo percorso è iniziato il dialogo con gli studenti (riportiamo le domande in grassetto)

-Qual’è la storia che l’ha colpita di più?

Una ragazza, affetta da una malattia degenerativa molto forte che le ha causato la  perdita dell’uso degli arti e della voce.                                                                                                     Nella vita fa la mental coach, aiuta le persone a superare le loro difficoltà e gli ha fatto capire che  la gente si dispera perché pensa sempre a quello che non ha, invece di pensare a ciò che ha e rendersi conto di quante cose può fare; lui questa ragazza non l’ha mai vista con gli occhi tristi, nonostante la sua grave malattia e questo perché non si sofferma su ciò che non possiede, che non può fare, ma su quello che ha e quante cose può fare.

-Le è mai capitato di avere pregiudizi su qualcuno delle tante persone con cui fa gli incontri?

Paolo Cevoli, in generale, conosce persone che hanno sbagliato tanto nella vita, come i carcerati, ma non li definisce malvagi, “l’uomo non è il suo errore” come diceva Don Oreste Benzi: quello che fai è sempre distaccato da ciò che sei, un uomo non è l’errore che commette. Cevoli ha capito che qualsiasi persona può ripartire, abbiamo tutti una seconda possibilità, una possibilità di rinascita.

-Si è mai trovato in difficoltà davanti una testimonianza di una tossico-dipendente? 

Si, davanti alla testimonianza di una ragazza che, nonostante provenisse da una buona famiglia, vedeva la vita come qualcosa di insopportabile a tal punto da volersela togliere.              Oggi lei è maggiorenne e, grazie alla comunità, ha capito che vale la pena vivere.

-Ha ritenuto il Covid un’esperienza utile o una condanna?

Il Covid ci ha tolto moltissime cose, come per esempio la possibilità di vedere i parenti. Lo ha colpito molto un film, “Cast away”, perché  lui, durante la pandemia si è sentito un po’ come quel naufrago che per non stare solo parla con un pallone, questo perché la solitudine nuoce notevolmente alla nostra salute mentale: la prima cosa di cui si ha bisogno per vivere è avere qualcuno. La seconda è avere anche solo un ricordo di qualcuno che ti aspetta, che sai che ti vuole bene, un motivo per voler sopravvivere.  Come terza e ultima cosa per riuscire a non cadere nella disperazione della solitudine bisogna avere uno scopo, trovare qualcosa per cui non smettere di lottare. Trovo che questo incontro sia stato molto utile a livello formativo per noi ragazzi, in particolare mi hanno colpito  le esperienze da lui citate che sono sicuramente qualcosa da cui ognuno di noi può trarre un profondo insegnamento.

Carbonara Eleonora 3P 

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