Il percorso alternativo della Papa Giovanni XXIII
L’associazione Papa Giovanni XXIII, propone un percorso alternativo che cerca di rieducare chi ha commesso il reato, e reinserirlo all’interno della società. Bisogna investire tutto il tempo possibile per sviluppare il sentimento di aiuto mutuo e di collaborazione.
I detenuti che ci hanno intrattenuto, risiedono alla casa madre del perdono a Taverna di Monte Colombo.
Bisogna investire tutto il tempo possibile per sviluppare il sentimento di aiuto mutuo e di collaborazione tra chi si sta recuperando. Alla base di tutto sta il richiamo ai valori, soprattutto la necessità e il bisogno che uno ha di aiutare l’altro, perché nasciamo per vivere in comunità
Il metodo APAC mette al primo posto l’essere umano e tutto il lavoro dovrà aiutare a riformulare la propria immagine, di chi ha sbagliato, chiamandolo per nome, conoscendo la sua storia, interessandosi della sua vita, dei suoi sogni, del suo futuro
La Casa Madre del Perdono fa parte del progetto CEC (Comunità Educante con i Carcerati), insieme ad altre 6 strutture in Italia e 2 all’estero.
Situata nella provincia di Rimini, la casa “Madre del Perdono” nasce nel 2004, per offrire ai detenuti (per noi ‘recuperandi’) un percorso educativo in una dimensione di casa e di famiglia. Nelle case si offre una formazione umana e una formazione valoriale-religiosa. Attraverso la valorizzazione del merito viene valutato il cammino di ognuno, recuperando nel comportamento e nello svolgimento delle mansioni assegnate.
Queste case, sono abitazioni normali gestite da volontari ed operatori h 24 (i volontari accompagnano i detenuti l’intero percorso anche di reintegrazione). I volontari, scelgono di prestare aiuto a queste persone, e vedono il loro servizio come un dovere.
La cosa più importante, per una migliore convivenza è seguire le piccole regole che vengono stabilite all’interno della comunità, utili poi quando i detenuti rientreranno alla vita normale.
Ora diamo voce ai detenuti:
Yosef, arriva in Italia nel 2006, dal Marocco, vive in famiglia, e nel 2019 inizia a lavorare, non è soddisfatto e decide anche a causa del Covid-19, di licenziarsi ed unirsi a cattive compagnie. Viene arrestato per due rapine a mano armata, passa i primi due anni in carcere, e poi si unisce alla comunità di Taverna.
Paolo Giovanni, 45 anni, viene arrestato per traffico di droga, insieme alla madre. passa 5 mesi nel carcere di Ferrara e poi si unisce ad una comunità, che gli permette di riscoprire se stesso, e sanare le sue ferite. E’ stato rilasciato ieri.
Nel carcere si trova accoglienza, ma non dal punto di vista emotivo, non puoi mostrare le tue emozioni. Ognuno deve farsi gli affari propri evitando così certi conflitti. Le carceri dovrebbero, essere di aiuto ai detenuti, costituendo un percorso educativo alla riscoperta di se stessi e dei propri obiettivi. Purtroppo non è quasi mai così, poiché non si presta attenzione al singolo individuo, ma al gruppo totale, e non ci si focalizza sul recupero, di queste persone ma solo sulla loro uscita dal carcere.
Al contrario, all’interno delle comunità si esegue un colloquio settimanale singolo e di gruppo durante il quale si crea un legame di forte confidenza, empatia, fiducia, sentimenti che invece in carcere non si possono mostrare.
Ai volontari vengono affidati pochi ragazzi, sui quali si concentrano, ed appunto vengono coinvolti nelle loro vite. Affrontano insieme ai ragazzi i traumi che li affliggono, non sempre però i ragazzi vengono salvati. Per fortuna molto raramente, i detenuti che svolgono un percorso alla Papa Giovanni, una volta liberi ricommettono reati (10-15%), a differenza dei ragazzi che escono dal carcere, che sono più propensi a commettere reati (80-90%).
Un risultato positivo si raggiunge soprattutto grazie alla stessa forza di volontà e impegno da parte di chi commesso il reato, disposto a tornare in società come una persona nuova .Un detenuto che entra in comunità, impara ad accettare gli altri, anche chi magari ha commesso un reato più grave. La crescita avviene infatti quando queste persone si mettono a nudo. All’interno della comunità bisogna essere disposti ad accettare e perdonare tutti. Non fermarsi superficialmente “l’uomo non è il suo errore” nonostante il reato commesso una seconda possibilità e l’opportunità di essere capiti e ascoltati è fondamentale durante il percorso non solo per il singolo ma per ogni detenuto
I rapporti tra i detenuti cambiano radicalmente tra carcere e comunità, in carcere interagisci esclusivamente con coloro che condividono la cella insieme a te, invece in comunità è obbligatorio avere dei rapporti con tutti, è infatti importante ritagliarsi del tempo per conoscere l’altro. In carcere il percorso è individuale mentre in comunità il percorso è collettivo. In comunità i detenuti, devono obbligatoriamente staccarsi dalla vita di tutti i giorni e dalle relazioni che avevano instaurato, proprio perché allontanandosi da cattive influenze, possono finalmente condurre una vita corretta.
Un carcerato costa 200/ 300 euro al giorno, e in aggiunta lo Stato non supporta queste organizzazioni, quindi si auto sussistono con lavori come: consegne a domicilio, vendita e prodotti della terra. Per quanto riguarda i viveri e i beni di prima necessità le cooperative specializzate gratuitamente donano prodotti in eccesso a queste istituzioni. A nostro avviso, queste comunità dovrebbero essere maggiormente appoggiate, proprio perché, favoriscono la formazione corretta dei membri della società, e conferisce una seconda possibilità a chi ha commesso un errore.
L’incontro si conclude con un augurio da parte dei ragazzi ai detenuti, con la speranza che possano avere una vita migliore!
Leardini Sofia e Signoretti Angelica 3R