Si può vincere un mostro?
Fin dai primissimi anni della mia adolescenza non ho mai avuto un buon rapporto con il cibo, di questa esperienza ricordo esattamente quel lontano settembre del 2022, quando qualcosa in me cambiò. Nessuno notò subito questo mio cambiamento, fino a quando il mio dottore non mi fece iniziare un percorso con psicologa e dietista: sì, avevo sviluppato un disturbo alimentare, nel mio caso anoressia nervosa, cosa non da poco. Più passavano i giorni e più peggiorava la situazione: giramenti di testa vari, scomparsa del ciclo mestruale, pressione bassa, dita viola, continuo calo di peso e costante freddo. Avevo smesso di sorridere, era come se le mie emozioni si fossero spente del tutto.
Partiamo dal fatto che io sono sempre stata una ragazza forte, ma per colpa di questa malattia ero diventata vulnerabile e soprattutto instabile mentalmente, cercavo di ascoltare quella vocina in testa che mi diceva di digiunare, che mi faceva sentire uno schifo dopo ogni pasto, che addirittura mi stava schiacciando sempre di più. Mentre gli altri vivevano una vita normale, piena e spensierata, io stavo a casa evitando il più possibile di uscire, se non per andare a scuola, stavo a casa a guardarmi allo specchio, scrutando con ribrezzo quel piccolo corpicino, che piano piano stava scomparendo. Agli occhi di tutti apparivo apatica, senza forze nemmeno per camminare, sembravo un piccolo cadaverino dentro una stanza, in mezzo a 23 persone che mi chiedevano sempre come stessi e come stessero andando le cose con il mio più grande nemico. Più i mesi passavano, più scomparivo, tanto che il 14 aprile del 2023 decisero di ricoverarmi, nonostante i medici stessero facendo il possibile per salvarmi da questo mostro.
Ricordo che, appena entrata, ero molto spaventata di intraprendere questo nuovo percorso, ma con il passare dei giorni stavo iniziando a capire che, se volevo uscire da lì e recuperare quella libertà mentale tanto desiderata, dovevo avere molta forza e soprattutto coraggio ad affrontare questa nuova sfida. Ricordo molto bene il reparto: mille telecamere che guardavano ogni cosa che facessimo, mi sentivo in prigione e senza libertà. Ricordo quante volte mi guardavo allo specchio consapevole del fatto che, prima o poi,quel piccolo corpicino non ci sarebbe stato più. Quante volte poi dovevo chiedere il permesso per prendere anche solo una maglietta da dentro il magazzino, perché sì, appena arrivata lì, hanno confiscato tutta la mia roba e l’hanno rinchiusa in una stanza,togliendo anche i lacci alle mie scarpe per paura che alcuni ragazzi li prendessero e si facessero del male. Ricordo anche tutti gli orari che dovevo rispettare,la colazione, ad esempio, era servita sempre alle 9:00 ed era seguita poi dalla misurazione dei parametri come pressione e battito cardiaco. Il momento della merenda alle 10:30 era seguito poi da un’ora e mezza/due in cui potevamo usare il cellulare, si pranzava verso le 13:00, poi mentre gli educatori facevano i soliti briefing nei quali discutevano di noi pazienti, noi ragazzi giocavamo a carte o ascoltavamo la musica. La visita con i genitori era sempre speciale: si trascorreva un’oretta in stanza, dove si parlava di me e di cosa facessero loro durante la giornata. Ricordo molto bene quando mio babbo mi venne a trovare e sfruttò la sua ora di visita per farmi vedere un pochino di formula 1 dal suo cellulare:quel momento non lo dimenticherò mai. Dopo la visita c’era sempre l’ora della merenda seguita poi dalla doccia e dai giochi da tavolo. Verso le 19:30 si cenava e infine, prima di andare a dormire, c’era sempre l’ora del tè accompagnata dalla musica o dai film. Ricordo gli educatori e i medici che mi assistevano durante le mie difficoltà nei pasti e che, per distrarmi, cercavano di farmi fare molte attività insieme agli altri pazienti (ragazzi più o meno della mia età). Eravamo tutti uniti, ci sostenevamo a vicenda e per qualsiasi cosa ognuno era disponibile ad ascoltare le difficoltà altrui. Quante volte durante il pranzo e la cena non ho completato il pasto per la sola paura di aumentare di peso, ma dovevo sforzarmi sia per me che per tutte le persone che mi volevano bene. Così piano piano mi sono rimboccata le maniche e sono riuscita leggermente a rialzarmi, grazie anche al sostegno di familiari e amici, coloro che fin dall’inizio non mi hanno mai abbandonata.
Anche la data di uscita dal reparto è da ricordare: il 4 maggio del 2023.
Pensavo che il rientro a casa sarebbe stato più semplice, e invece nel giro di pochissime settimane ho avute varie ricadute, che sono durate fino a qualche settimana fa, seguite poi dalle crisi di pianto e dal pensiero di voler ritornare a quando avevo quel piccolo corpicino scheletrico e quindi a quando stavo per spegnermi completamente. Ho imparato però che le ricadute sono normali, l’importante poi è rialzarsi più forti di prima. Da quando mi sono ammalata, l’unica cosa che mi sono sempre chiesta è: ma si può vincere contro un mostro? La mia risposta è sì. Ho sempre desiderato raggiungere di nuovo la luce in fondo al tunnel e rivedere quella felicità di un tempo negli occhi spenti di quella ragazzina che avrebbe sempre e solo voluto una stabilità mentale. La me di un tempo non avrebbe mai creduto di avere, nel futuro, questa forza e questo coraggio. Ora che inizia un nuovo capitolo della mia vita, voglio sfruttarlo al massimo e cercare di ritornare a vivere una vita normale come tutti, senza vergognarmi del mio corpo e senza dover stare a casa, anziché correre su quella bellissima pista rossa di atletica. Mi sono fatta una promessa, la stessa che ho fatto anche ai miei parenti: abbattere questo mostro, riprendere in mano la mia vita per renderla ancora più bella e spensierata.
Ricordate che se state attraversando l’inferno, continuate ad andare, io lo sto facendo e ancora sono qui a combattere questo fuoco infernale che mi blocca da troppi mesi. Sì, fino a poche settimane fa mi sarei arresa alla prima difficoltà incontrata, ma ora so che lottare è davvero necessario e ne vale la pena. Sì, è giunto il tempo di vendicarsi di quel mostro.
Nicole Zagaglia 4°R