Bisogna proporre un fine alla propria vita per vivere felici?

La citazione tratta dallo Zibaldone di Leopardi propone una sorta di “arte della felicità”, secondo la quale la vita trova significato nella ricerca di obbiettivi che, se raggiunti, ci immaginiamo possano renderci felici.

Rinunciando a questa ricerca la nostra vita risulterebbe nulla, vuota, fatta solo di superficialità. Io personalmente ritengo che le parole di Leopardi siano molto vicine alla sensibilità giovanile di oggi.

Come disse Aristotele “la felicità dipende da noi stessi”, ciascuno di noi per poter essere felice dovrebbe avere un fine, un obbiettivo per cui valga la pena vivere, che possa in qualche modo riempire la nostra vita, perché altrimenti, come è molto comune tra i giovani di oggi, quest’ultima sarebbe essenzialmente “nichilismo”, ovvero nulla, vuoto.

Mi capita molto spesso di vedere miei coetanei completamente spensierati, senza un minimo di interesse su tutto ciò che riguarda il loro futuro; osservo continuamente loro storie su Instagram in cui dicono di “voler fare i soldi”, perché “la grana è l’unica cosa che conta” e ogni tanto mi chiedo da dove pensano di ricavare questa quantità di soldi, dato che al momento il loro unico interesse sta nel trascorrere intere serate passando di godimento in godimento, di trastullo in trastullo.

In realtà non comprendo nemmeno questo desiderio così frequente di ricchezza, perché, riflettiamoci un attimo, come mai il numero di suicidi é più alto nei paesi più ricchi? Come mai moltissime persone che apparentemente sembrano avere tutto sono in realtà tristi, infelici?

Questo perché una persona benestante, che possiede tutto, spesso è però limitata nella sua capacità di espandersi, di andare oltre ciò che già ha e, di conseguenza, non é felice, mentre una persona che si può definire completamente ricca è una persona che possiede questa capacità di spingersi oltre ciò che già ha, di non vedere gli ostacoli come segnale di stop ma, al contrario, come un’opportunità di affrontarli. Non è felice chi ha i soldi, ma la vera ricchezza sta proprio nel sentirsi felici.

Riflettendoci più a fondo però questa teoria di Leopardi sulla necessità di porsi obbiettivi per essere felici, sì, è vera, perché altrimenti vivremmo una vita vuota, però, allo stesso tempo, se inseguendoli ci dovessimo accorgere di star danneggiando noi stessi o gli altri, credo sarebbe molto meglio lasciar perdere.

Inoltre c’è anche da considerare il fatto che ci sono persone che, pur essendosi prefissate degli obbiettivi con tutte le caratteristiche giuste, poi non riescono a motivarsi o che, pur avendo lavorato tanto per raggiungerli, in quel momento, invece di sentirsi soddisfatti, si sentono semplicemente svuotati, di nuovo.

Quindi, credo che ciascuno di noi, per essere felice, non debba necessariamente avere chissà quale obbiettivo, e con questo non voglio però intendere passare di godimento in godimento senza mai porsi uno scopo a cui mirare sia la via giusta; io semplicemente credo che l’uomo, passando da una sfida all’altra, sia sempre in cammino dietro un obbiettivo, che non deve per forza significare fare i soldi, anzi, il più grande progetto di tutti noi deve proprio essere il “progetto felicità”. Questo proprio perché non esistono oggetti o persone che ci danno “per regola” la felicità, ma ci sono cose, fatti, circostanze, capaci di attirarla per determinate persone in determinati momenti.

Pensiamo per esempio a Dante o Petrarca, la loro felicità era l’amore e chissà, magari se avesse provato lo stesso tipo di sentimento autentico, anche Leopardi, anche lui avrebbe detto la stessa cosa.

Poi, secondo me, bisognerebbe fare una corretta distinzione tra “felicità frammentaria” e “grande felicità”: nel corso della nostra vita viviamo continuamente felicità fatte di attimi, di momenti che vorremmo durassero per sempre, e che non possiamo dimenticare, perché il tempo non è in grado di cancellarne il ricordo; ed è proprio il ricordo di quella sensazione che porta secondo me alla “grande felicità”, ovvero alla consapevolezza di averla vissuta.

Infatti, assaporando quelle briciole di “felicità frammentaria”, l’uomo continua a porsi obbiettivi, spinto dal desiderio di provarla di nuovo.

Per questo quella felicità autentica e totale sembra essere sempre a una certa distanza da noi, un po’ come un arcobaleno che si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci ad esso.

Con questo introduciamo dunque che il concetto di felicità è in realtà un concetto infinito, come ci spiega anche Leopardi con la sua teoria del piacere: l’uomo è continuamente alla ricerca della felicità, ovvero ciò che lui definisce come piacere infinito, con lo scopo di soddisfare un desiderio illimitato; se ci pensiamo questa felicità è disponibile e raggiungibile per ognuno di noi, grazie alla natura che ci ha resi ignoranti, capaci di immaginare e quindi di raggiungere quel piacere infinito, perché soltanto l’immaginazione può crearne oggetti infiniti.

Quindi, in conclusione, penso che sì, porsi obbiettivi sia necessario per non vivere una vita vuota ed avere uno scopo, ma non per forza obbiettivi riguardanti il raggiungimento dei soldi, quanto piuttosto il raggiungimento della serenità. Per quanto riguarda invece i giovani di oggi che sembrano vivere totalmente spensierati, senza alcuno scopo, la loro motivazione è secondo me la paura, la paura di non esserne all’altezza e che quindi il loro non far niente sia la loro arma di difesa, per non pensarci.

Ma perché avere paura della felicità? Questo progetto è uno tra i più difficili della vita, ma anche uno dei più irrinunciabili, oserei dire. Perché qualcuno dovrebbe rinunciarci?

La felicità esiste, è lì ed appartiene ad ognuno di noi, è un diritto che ci è stato consegnato alla nascita a cui nessuno deve rinunciare, perché è proprio sentendosi felici che ci si riconcilia con la vita.

Eleonora Carbonara 4P

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