Auschwitz riflessione

Canzone del bambino nel vento

In classe durante il giorno della memoria, abbiamo ascoltato la canzone Auschwitz di Francesco Guccini, e in seguito all’ascolto abbiamo scritto tutti un commento personale a riguardo.

Questa è la mia idea:

Il brano “Auschwitz” di Francesco Guccini rappresenta una delle più potenti e toccanti riflessioni sull’Olocausto. La canzone non solo narra gli orrori vissuti dai prigionieri nei campi di concentramento, ma esplora anche temi come la sofferenza, e la capacità dell’uomo di compiere atti di estrema crudeltà.

Guccini riesce a catturare l’essenza di questo orrore attraverso immagini semplici ma allo stesso tempo potenti e forti. L’uso del vento come metafora per le anime dei morti e la continua sete di sangue della belva umana che non è mai soddisfatta, sono rappresentazioni talmente forti che trasmettono un senso di  tragedia e l’incapacità dell’umanità di imparare dai propri errori. Il freddo giorno d’inverno e il grande silenzio di Auschwitz ricordano non solo la sofferenza fisica ma anche il vuoto animo lasciato da questi atti di violenza.

La domanda ripetuta da Guccini su come un uomo possa uccidere un suo fratello è una sfida diretta agli ascoltatori o meglio a tutta l’umanità, un invito a riflettere profondamente sulla natura della nostra società e su cosa significa essere umani. Questa domanda, pur nella sua semplicità, porta con sé un peso enorme, costringendoci a confrontarci con le profondità della nostra stessa natura.

La canzone invita non solo al ricordo, ma anche all’azione. Chiede un cambiamento, un impegno collettivo  a “vivere senza ammazzare”. Questa invocazione finale è sia un atto di speranza che un richiamo alla responsabilità: la pace non può essere solo un desiderio, deve diventare una realtà attraverso l’impegno concreto di ciascuno di noi.

Ogni ascolto ci riporta a quel freddo silenzio, ci fa percepire il vento che porta via i sogni spezzati e ci ricorda che l’impegno per la pace è un dovere ineludibile per onorare la memoria di coloro che sono stati perduti.

Pensiamo a quel silenzio assordante che c’era tra tutti quei prigionieri, quel silenzio di quegli urli  e pianti disperati mai ascoltati, quel silenzio di quel boccone dato come se fossero degli animali, il silenzio di quando la notte si tremava dal freddo, il silenzio spezzato del rumore del vento. Il silenzio di chi non tornerà più ad essere la persona che era prima, quel silenzio che ti cambia per sempre. Il silenzio di chi non ha nemmeno più la forza  di urlare. Il vuoto che si percepisce negli occhi spenti di tutti loro, gli occhi spenti di chi ha perso una madre, un figlio, l’amore della sua vita ma soprattutto gli occhi di chi ha perso sé stesso nel gridare del vento.

Ora ve la pongo io una domanda, per voi, cosa significa essere umani?

Demetra Tamanti 2P

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